LA CORTE D'ASSISE DI APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza sulla questione di legittimita' costituzionale contenuta nei motivi d'appello proposti dal p.m. avverso la sentenza del tribunale di Taranto del 7 giugno 1991 e con la quale sono stati assolti dai reati di concorso in tentato omicidio, omicidio, porto e detenzione di armi comuni da sparo gli imputati Resta Cosimo, Rizzo Antonio ed Appeso Nicola, per non aver commesso il fatto; considerate le ragioni addotte anche dal p.g. che in questa sede ha ribadito la predetta eccezione; O S S E R V A L'ipotesi accusatoria mossa nei confronti degli imputati e' stata strutturata sostanzialmente sulla base delle precise indicazioni fornite, nella fase delle indagini preliminari, dal teste Resta Cataldo, il quale, in quella sede, ha riferito di aver riconosciuto ed individuato negli attuali imputati gli autori dei reati in questione, mentre poi, nel corso del dibattimento di primo grado, ha sostenuto di aver detto il falso, nonostante le rituali e precise contestazioni effettuate dal p.m. La corte d'assise di Taranto, di conseguenza, ha assolto gli imputati, affermando che il disposto di cui all'art. 500, terzo comma, del c.p.p. ha impedito di valutare ai fini della prova, le precedenti dichiarazioni del Resta, sicche' l'impianto accusatorio, rimasto privo di ulteriori e validi elementi, si e' rilevato incapace di dimostrare l'assunto. Pertanto l'art. 500, terzo comma, del c.p.p. si pone, nel presente procedimento, come norma sostanzialmente risolutiva della dialettica dibattimentale ai fini della decisione, per cui la questione di legittimita' costituzionale della predetta norma, cosi' come sollevata dal p.m. nei motivi d'appello e dal p.g. in questa sede, appare di evidente ed estrema rilevanza ai fini del presente giudizio. Per quanto attiene poi alla non manifesta infondatezza della proposta eccezione, si rileva: la norma in questione, ponendo dei limiti invalicabili alla acquisizione ed utilizzazione delle dichiarazioni rese in sede d'indagini preliminari, ai fini della valutazione della prova, innesta un meccanismo processuale che impedisce in concreto al giudice l'esercizio del suo libero convincimento, in quanto, pur consentendo di controllare l'attendibilita' del teste, non consente d'altro canto, nel caso in cui si dovesse pervenire ad un giudizio negativo circa tale attendibilita', l'esame di quelle dichiarazioni che, proprio per l'asserita attuale inaffidabilita' del teste, potrebbero considerarsi veritiere. Tale assurda limitazione nell'attivita' di formazione ed acquisizione della prova, oltre a condurre a conseguenze inaccettabili sul piano del diritto sostanziale e su quello delle ragioni stesse che legittimano lo ius puniendi statale, appare francamente contraria ai principi costituzionali che regolano l'attivita' del giudice ed il magistero penale, mortificando irrazionalmente il diritto stesso d'azione e riducendo in concreto il processo penale ad un esangue schema irrigidito nelle pastoie di presunzioni e prove "legali" di chiaro stampo civilistico. Tutto cio' si pone in contrasto con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione, in quanto il principio di legalita' da esso enunciato trova in suo fondamento in esigenze di garanzia del cittadino e certezza del diritto, esigenze che, nel caso di specie, vengono vulnerate, in quanto la norma penale, nella sua concreta applicazione attraverso simile itinerario processuale, viene privata in concreto di tali sue caratteristiche, divenendo pertanto inidonea a garantire il cittadino, sia esso imputato o parte lesa. La norma processuale che e' e resta pur sempre strumentale rispetto a quella sostanziale, finisce cosi' per svilire completamente quest'ultima, impedendo nel contempo la piena realizzazione di un "giusto processo" e la tutela piena e reale dei diritti di tutti i cittadini. L'art. 500, terzo comma, del c.p.p. introduce quindi delle limitazioni che vanno oltre ogni limite di ragionevolezza e pertanto contrasta anche con l'art. 3 della Costituzione, omogeneizzando situazioni dissimili e differenziando analoghi contesti, ed in particolare: mentre da un lato il citato articolo impedisce, nel giudizio ordinario, di valutare ai fini della prova le dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari, cio' invece consente nel caso di patteggiamento e di giudizio avvreviato, posto che in questi casi il giudice, dovendo esprimere una valutazione allo "stato degli atti" e censurare altresi' l'eventuale dissenso del p.m., come codesta Corte ha piu' volte ribadito, non puo' non esaminare tutto il materiale probatorio raccolto nella fase delle indagini. Inoltre e sempre per il disposto del citato articolo, non possono formare oggetto di prova le dichiarazioni rese al p.m. nella immediatezza del fatto ma in luogo diverso, il che pone una ulteriore condizione francamente irrazionale ed un limite non condivisibile ai fini dell'accertamento della verita'. Analogamente dicasi per la diversita' di trattamento riservata dall'art. 512, lettura di atti per sopravvenuta impossibilita' di ripetizione, rispetto alla identica situazione che puo' verificarsi allorche' il teste non sia in condizione di ricordare e riferire fatti sui quali ha gia' deposto davanti al p.m. Ed ancora, l'impossibilita' di utilizzare quanto il teste ha riferito nel corso delle indagini preliminari, anche quando, in dibattimento, le sue smentite o i suoi dinieghi appaiano chiaramente frutto d'intimidazione e di cio' si abbia prova certa e non equivoca. Tutto cio' appare evidentemente in contrasto con i richiamati artt. 3 e 25, secondo comma, della Costituzione, nonche' con gli ulteriori principi ivi affermati negli artt. 2 e 101, secondo comma. Conseguenza di tale situazione e' che il giudice, interprete vigile ed attento della legge e mediatore tra questa e la realta' sociale si trova suo malgrado, incapace di dare, in questa desolante carenza di una normazione adeguata e coerente, una risposta alla continua ed articolata domanda di giustizia proveniente dai singoli e da tutte le parti sociali, domanda che non puo' che trovare fondamento nella Costituzione e nell'ordinamento democratico da essa fondato.